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 Albert Frederick Mummery |   
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                    | Hermann Buhl |   
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                    | Reinhold Messner |  
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 Walter Bonatti |  
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                  | Volano le aquile sul Nanga Parbat |  
                
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                      Marzo 2019
 Volano le aquile sul Nanga Parbat. Sono in cerca 
                        delle anime di coloro che non hanno raggiunto la cima. 
                        Gli altri non hanno bisogno di ali perché sono 
                        aggrappati al vento che li ha sospinti oltre i confini 
                        dell'ignoto.
 La montagna è questa: un groviglio di dolore, fatica 
                        e umiltà, racchiusi nella speranza di non destare 
                        la sua rabbia ed accettarne comunque il suo verdetto finale. 
                        E lungo le pareti nude, tra la neve e i ghiacci eterni, 
                        non ci sono martiri né eroi ma soltanto uomini 
                        che, pur senza sfidarla, hanno provato a vincerla a costo 
                        della morte.
 Non conoscevo Tom Ballard, troppo giovane e imberbe 
                        di fronte alla maestosità degli ottomila. Di Daniele 
                        Nardi invece avevo avuto modo di vedere i numerosi 
                        video nell'inferno candido dello sperone Mummery, 
                        tomba perpetua di Albert Frederick dal 24 agosto 
                        del 1895, di cui ancora oggi riporta il nome. Il grande 
                        alpinista austriaco Hermann Buhl, che nel 1953 
                        conquistò per primo la cima del Nanga Parbat, 
                        su cui Mummery era scomparso oltre mezzo secolo 
                        prima durante il primo tentativo assoluto di scalata di 
                        un ottomila, lo definì uno dei più grandi 
                        alpinisti di tutti i tempi.
 Ecco, forse è questa l'arcana e smisurata passione 
                        con cui Daniele e Tom hanno provato ad emulare 
                        quell'uomo schivo che sapeva seguire le crude dinamiche 
                        dell'Aiguille du Grépon dove una stretta 
                        fessura impervia porta anch'essa il suo nome. Ma si sa, 
                        a volte i grandi uomini si ricordano più per come 
                        sono morti che per le mitiche imprese della loro vita 
                        e, dopo 125 anni, c'è ancora chi vuole ripercorrere 
                        la sua ultima via per dimostrare che non c'è limite 
                        alla grandezza.
  E non importa se la montagna, nella sua immensa benevolenza, 
                        ti mette in guardia innumerevoli volte. Non importa se 
                        un mito vivente come Reinhold Messner ha etichettato 
                        questa impresa come una pura follia. Lui, unico uomo a 
                        percorrere lo sperone Mummery in discesa, trascinandosi 
                        appresso il fratello Gunther allo stremo delle 
                        forze. La sua era stata una scelta obbligata, l'unica 
                        che gli avrebbe permesso di salvarlo, preservandolo dall'impervia 
                        discesa sullo stesso percorso che, senza corde e con gli 
                        indumenti di allora, li aveva portati in cima. Anche quella 
                        volta la montagna decise di trattenere un corpo per 35 
                        anni prima di restituirlo ai propri cari e mettere fine 
                        a tre decenni di inutili polemiche verso chi era tornato 
                        vivo. No, per molti critici lui non può erigersi 
                        a saggezza perché sfidò l'aria sottile della 
                        cima più alta della Terra senza ossigeno, quindi 
                        la sua sfrontatezza di allora dev'essere etichettata al 
                        pari della spavalderia di oggi. Forse, questi leoni da 
                        tastiera, dimenticano che Messner ha ripetuto l'impresa 
                        su tutti i quattordici ottomila del pianeta e può 
                        ancora permettersi di esprimere la sua perplessità 
                        su ogni cosa che riguardi la montagna. E che dire di Simone 
                        Moro che gli stessi montanari da salotto hanno bollato 
                        come un alpinista senza coraggio, quando lui stesso ha 
                        ammesso che preferisce veder crescere suo figlio invece 
                        di essere l'unico uomo ad aver salito per cinque volte 
                        un ottomila in invernale? Personalmente sono convinto 
                        che serva più coraggio per rinunciare a conquistare 
                        una cima piuttosto che perdere la vita.
 La stessa difficile decisione l'ha saputa inculcare nella 
                        giovane Tamara Lunger che l'ha accompagnato insieme 
                        ad Alex Txicon e Ali Sadpara nella prima 
                        conquista in invernale del Nanga Parbat. Lei, spossata, 
                        ha rinunciato all'impresa a 100 metri dalla vetta perché 
                        il coraggio di non morire si è accompagnato alla 
                        paura di trascinare gli altri nella medesima sorte. E' 
                        scesa da sola verso il campo base, durante la discesa 
                        è scivolata per 200 metri ed ha aspettato il loro 
                        ritorno nelle tenebre della notte, segnalando la posizione 
                        della tenda con la luce di una pila. Simone Moro 
                        ha scritto: - Si è sacrificata per noi perché 
                        probabilmente avrebbe raggiunto la cima, ma sapeva bene 
                        che nessuno di noi aveva la forza di riportarla a casa.
 Anche Daniele Nardi ha soccorso Adam Bieleki 
                        sulla via Kinshofer dopo una scivolata sul ghiaccio 
                        ed ha subito documentato in un video la sua eterna riconoscenza. 
                        Lo stesso aveva fatto in squadra con Alex Txicon 
                        e Ali Sadpara nel 2016, durante una caduta che 
                        invece lo aveva visto protagonista. In quell'occasione 
                        si era sentito tradito dai compagni di scalata e questo 
                        fatto aveva preceduto di poco la rottura con loro e con 
                        Simone Moro che insieme a Tamara Lunger 
                        era stato ripetutamente invitato da Alex ad unirsi 
                        alla squadra. Nessuno ha mai raccontato cosa si dissero 
                        la notte precedente alla sua esclusione dal gruppo e certo 
                        ora ha poca importanza di fronte al tragico evolversi 
                        degli eventi.
 Credo comunque che si debbano conoscere questi fatti per 
                        comprendere l'ossessione di Daniele Nardi per lo 
                        sperone Mummery, probabilmente una sorta di rivalsa 
                        per guadagnarsi un posto di primo piano davanti al gotha 
                        dell'alpinismo mondiale. Non è questo certamente 
                        un demerito perché ogni uomo dovrebbe inseguire 
                        i propri sogni al livello più alto ma, allo stesso 
                        tempo, dovrebbe anche poterli raccontare ai propri figli 
                        dopo averli esauditi. E non gioca certo a suo favore l'esserci 
                        tornato cinque volte con cinque compagni diversi.
 Probabilmente Daniele non aveva attirato le simpatie 
                        dei puristi perché passava troppo tempo ad autocelebrarsi 
                        sui social invece di soffrire, attrezzando le corde sulle 
                        pareti più impervie, ma questo è il mondo 
                        di oggi, dove l'equilibrio della bilancia non può 
                        più reggere il confronto tra l'essere e l'apparire.
 L'alpinismo ha bisogno di nuove leve, di nuovi traguardi 
                        ma anche di quella purezza che portavano con sé 
                        nello zaino uomini come Walter Bonatti, passato 
                        a miglior vita dopo la migliore delle vite, stringendo 
                        la mano di chi lo ha sempre amato.
 Non conoscevo Daniele Nardi né Tom Ballard 
                        e in queste poche righe ho riportato i fatti con la speranza 
                        di non schierarmi. Se in qualche modo invece l'ho fatto, 
                        perdonatemi. Continuo a seguire le grida delle aquile 
                        sul Nanga Parbat e mi chiedo per chi sarà 
                        il prossimo volo.
 Abel Wakaam |  | 
   
    |  Aquile sul Nanga Parbat |   
    |  Nives Meroi |   
    |  Hermann Buhl |   
    |  Assassinio impossibile |   
    |  Hans Kammerlander |   
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