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Operazione Mato Grosso - Rifugio Claudio e Bruno - Rifugio 3A - in val Formazza

Traccia GPS 3A - GPS Blinnehorn - Mappa Mappa - Video Video Video - Photo Album

La Val Formazza si trova nord ovest del lago Maggiore, chiamato anche Verbano, e la si raggiunge percorrendo l'autostrada per Gravellona Toce, una derivazione della Milano Laghi che si ricongiunge con la Milano/Torino in direzione Alessandria. Le indicazioni riportano Arona come primo casello da oltrepassare e la strada costeggia per un certo tratto il lago, visibile negli scorci liberi da gallerie. Si prosegue seguendo il corso dell'autostrada finché si trasforma in Strada Statale del Sempione.

Superata l'uscita di Domodossola, occorre fare attenzione alle indicazioni per le Valli Formazza e Antigorio, in direzione di Crodo. Oltrepassata la famosa cittadina, nota per le sue acque minerali, si prosegue in direzione Baceno fino ad incontrare Premia, dove abbiamo già illustrato una precedente escursione agli Orridi di Uriezzo. La strada prosegue in direzione nord fino al bivio per Devero, dove invece seguiremo le indicazione per la Cascata del Toce. Superato il ponte sul Toce, continuiamo fino all'abitato di Riale.

Raggiungiamo quindi la base della diga di Morasco, dov'è presente un ampio parcheggio, riservato in parte al soggiorno dei camper, ma proseguiamo sulla strada privata dell'Enel, sfidando il divieto di transito per i mezzi non autorizzati. Più avanti è possibile parcheggiare accanto alla teleferica o in qualche spiazzo che non ostruisca il passaggio.

Per arrivare al Rifugio Claudio e Bruno che è la prima delle nostre mete, occorre raggiungere il lago del Sabbione. Esistono due sentieri che fanno al caso nostro: quello vecchio che sale direttamente, snodandosi sul costone roccioso che sovrasta il fiume, e il nuovo sentiero che aggira sulla destra la fattoria e sale per un tratto verso la piana del Bettelmatt.

Il vecchio sentiero è ufficialmente chiuso ma, al di là del cartello che ne sconsiglia l'utilizzo, optiamo comunque per la seconda scelta, sicuramente meno ripida ma altrettanto panoramica. Non è ben visibile l'imbocco e come punto di riferimento iniziale bisogna dirigersi verso la fattoria ed aggirarla sulla destra finchè si notano chiaramente i tipici colori bianco e rosso della segnaletica. Dopo di che, il sentiero piega decisamente a sinistra e prende a salire dolcemente in direzione di quello vecchio, mantenendosi in quota di un centinaio di metri.

Ben presto incontriamo un secondo cartello indicatore che spiega chiaramente quale direzione seguire, fugando ogni dubbio sulla scelta intrapresa. Il sentiero è il G39 che conduce al Lago dei Sabbioni e al Rifugio Busto Arsizio in diretta. Superato il bivio per il Bettelmatt, il primo punto chiaro di riferimento è il traliccio della teleferica che si vede chiaramente sul costone. Finché non lo si raggiunge, occorre tenere costantemente la destra di ogni diramazione che incontriamo sul sentiero. La parte terminale di questa tratta è poco agevole e presenta alcuni passaggi in cui prestare molta attenzione.

Superato l'ultimo ostacolo, ci troviamo finalmente in un canalone con i piloni della teleferica. Ancora qualche passo e scorgiamo in basso, a sinistra, il baitello Zum Stock, posto a quota 2.210. Rappresenta il congiungimento tra il vecchio sentiero e quello nuovo che stiamo percorrendo. Siamo circa a metà percorso per la diga dei Sabbioni. Proseguendo diritti si sale invece al Rifugio Busto Arsizio che vedremo più avanti tra le nuvole.

Noi scendiamo invece verso il baitello e proseguiamo in direzione del fiume che oltrepassiamo su un improvvisato ponticello, realizzato con dei tubi metallici e tavole di legno. Ora la difficoltà è data dalla pietraia dove la direzione da seguire è affidata soltanto agli "omini di pietra" ed ai rarissimi stralci di segnaletica.

Ancora uno sforzo e di colpo ci appare, imponente e maestosa, la diga del Sabbione a 2.466 metri di altitudine. Forma il serbatoio più importante della valle. E' del tipo a gravità alleggerita, lunga 300 metri, alta 60, con uno spessore alla base di 55, volume complessivo 140.000 metri cubi di calcestruzzo. Contiene oltre 400 milioni di metri cubi d'acqua.

Per informazioni più dettagliate su questa parte del percorso potete consultare l'Avventura n° 25.

Aggiriamo l'imponente stazione della teleferica, passando sulla sinistra e scendiamo rapidamente verso la diga. Dal momento della partenza sono passate 2 ore e 15 minuti. L'attraversiamo di slancio, presi dalla frenesia, e ci portiamo sull'altra sponda, dove troviamo le indicazioni per il Rifugio Claudio e Bruno (45 minuti) e per il Rifugio 3A (80 minuti).

Ora dobbiamo risalire quasi per intero questo lato del lago dei Sabbioni su un sentiero in leggera pendenza, a volte un po' esposto, ma mai pericoloso. La giornata è splendida, senza una nuvola in cielo, ed un piacevole venticello ci accompagna ad ogni passo.

Appena troviamo una traccia che sale sulla destra prendendo quota, la imbocchiamo con decisione e, percorsi pochi passi, ci appare la visione della Punta d'Arbola in tutto il suo splendore. I sentieri si moltiplicano, ma tutti, prima o poi, si ricongiungono in uno solo ed arriviamo ad un bivio, ben segnalato dai cartelli indicatori. A destra si sale per il Rifugio 3A in 50 minuti, mentre proseguendo diritti arriveremo al Rifugio Claudio e Bruno in 15 minuti.

Incontriamo un ponticello distrutto dalla potenza del torrente, che guadiamo su alcuni sassi piatti, sistemati appositamente per lo scopo, e cominciamo ad intravedere la sagoma del rifugio, in uno scenario da favola. Sono passate 3 ore dalla partenza. Il GPS segna 2.710 mt sul livello del mare.

Il rifugio Claudio e Bruno, come anche il 3A, sono di proprietà dell'Operazione Mato Grosso, un movimento spontaneo di giovani, nato da una proposta di Padre Ugo De Censi, prete salesiano, parroco di Chacas, un paesino ai piedi delle Ande in Perù. Chiunque può entrare a far parte dell'OMG senza preclusioni ideologichè né religiose, perché lo scopo dell'Organizzazione è quello di aiutare chi ha più bisogno di noi. Fa bella vista su una parete del rifugio la scritta: Salire verso l'alto per aiutare chi sta in basso. Nello store è possibile acquistare capi tecnici di abbigliamento a prezzi scontati, il cui ricavato andrà alle popolazioni del Operazione Mato Grosso - Rifugi in val Formazza. L'atmosfera che si respira è multietnica, fatta per lo più di ragazzi e di volontari. Durante il pranzo, un Padre messicano mi offre un dolce del suo paese, fatto di latte di capra e con un sapore che ricorda molto il caramello.

La compagnia è bella, ma la strada da percorrere è ancora lunga e decidiamo di partire subito dopo pranzo per la seconda delle nostre mete. Il sentiero per il 3A ha inizio da sopra il rifugio e porta come tempistica 45 minuti. L'attacco è morbido, senza particolari strappi, il vento continua a soffiare ma non è affatto fastidioso. La temperatura è intorno ai 15 gradi.

La vista sul ghiacciaio è ammaliante e, più saliamo di quota, e più si fa spettacolare. L'Hosandhorn e la Punta d'Arbola si stagliano contro il cielo terso, in contrasto col verde del lago dei Sabbioni, in un'apoteosi di colori. Ora il percorso si svolge in una valletta interna, pietrosa, e il paesaggio si fa duro, arcigno, costernato da omini di pietra che fanno da unico punto di riferimento visivo. In alcuni tratti si possono godere degli incredibili scorci sul lago sottostante. Scorgiamo su un dosso un altare di pietra, usato tuttora per celebrare Messa in quota e, poco più avanti, incontriamo il sentiero che sale in diretta dal lago, con destinazione il 3A.

La parte finale è ripida, a tratti scivolosa, ma percorribile senza alcun vero pericolo tangibile. Basta prestare attenzione al pietrame di sfasciume, con molta attenzione a dove si mettono i piedi. Il rifugio ci appare all'improvviso, affacciato sul vuoto, percorriamo gli ultimi metri col cuore in gola e finalmente ce lo troviamo davanti. Abbiamo impiegato 55 minuti dal Claudio e Bruno. Siamo a 2.960 mt sul livello del mare e, intorno a noi, solo il paradiso.

Inaugurato nel 1979, il rifugio è dedicato a tre amici dell’OMG, Anna Boffo, Attilio Giordani e Alessandro Valsesia. Situato ai piedi del massiccio del Blinnenhorn, domina da un lato la conca
del lago Sabbioni e dall’altro l’ampio ghiacciaio del Siedel, su cui è attrezzato uno skilift che permette l’attività sciistica da metà giugno a fine luglio. Costruire un rifugio a quota 2.960 è un'impresa ciclopica. Ma l'impresa, per certi versi impossibile con calcoli ordinari, si realizza nel concetto che gli uomini, quando sono mossi da un ideale, possono spostare le montagne. Migliaia di ragazzi hanno percorso giornalmente il tragitto Sabbioni-Siedel di 500 m di dislivello con pesi mai portati nella loro vita. Far sabbia, fare la malta, spalare neve è stato il lavoro delle formiche OMG. I rifugi sono così come li vediamo oggi, e allo stesso modo possiamo avere un'idea di come sono nati tutti i monumenti antichi col lavoro degli schiavi. Ma gli schiavi OMG sono venuti liberi e sono partiti contenti. La frusta per farli innamorare è stata la fame dei più poveri, la bellezza della Formazza e l’amicizia che li ha uniti.

La temperatura è di 12 gradi. Il tempo di un tè caldo, sorseggiato in poltrona su una terrazza che si affaccia sul mondo, e i pensieri scorrono leggeri là dove non c'è confine... là dove le prime nuvole si affacciano all'orizzonte per dare profondità allo sguardo e riempire la mente di emozioni nuove.

Ora però bisogna tornare! E l'unica via disponibile per evitare di ripetere il medesimo tragitto che ci ha portati qui, è quella di scendere in diretta verso il Rifugio Busto Arsizio, sul Pian dei Camosci, e poi da lì raggiungere il Bettelmatt per chiudere un percorso ad anello che ha dell'incredibile, specialmente se fatto in una sola giornata.

Il primo pezzo di discesa avviene sulle "roccette". E' ripido, franoso e va percorso con molta cautela. Il primo punto di riferimento è un hangar in alluminio, posto un centinaio di metri più a valle, raggiunto il quale occorre prestare attenzione ai soliti omini di pietra che danno un'indicazione generale della direzione da tenere. Si scende quindi per pietraie e sfasciumi finché si incontra un lungo canalone innevato che si abbassa lentamente di quota. Non conosciamo lo stato di consistenza della neve e neppure la quantità ammassata sopra il torrente che sentiamo scorrere sotto di essa. Ci rincuora la presenza di una traccia fresca sulla sua superficie e decidiamo di seguirla con prudenza, anche perché, alla fine del canalone, ci aspetta il salto della cascata che precipita verso valle.

Quando, dopo un chilometro di neve gelata, rimettiamo finalmente i piedi sulla roccia viva dell'altro lato, tiriamo un sospiro di sollievo. Ora non ci resta che seguire il sentiero che raggiunge il Pian dei Camosci, percorrerlo per intero nella sua immensità e raggiungere così il Rifugio Busto Arsizio che vediamo chiaramente di fronte a noi. Evitiamo quindi ulteriori soste e prendiamo decisamente il sentiero per l'altopiano del Bettelmatt, per poi tornare al luogo di partenza. Dal Rifugio 3A al parcheggio dove abbiamo lasciato l'auto, il tempo di percorrenza è di 3 ore.
Il tempo totale di salita e discesa, soste escluse, è stato di 7 ore, ma ne è valsa davvero la pena.

Abel Wakaam

 

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